Nell’aprile 2025, l’economia globale ha vissuto una scossa violenta. Le nuove politiche tariffarie di Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, hanno innescato una crisi di fiducia che rischia di spingere il mondo verso una recessione. L’Osservatorio Ceresio Investors ha analizzato le conseguenze economiche, politiche e finanziarie di una settimana che ha cambiato tutto.

Una crisi che nasce dal cuore della politica americana
Quando il 2 aprile l’Amministrazione Trump ha annunciato una raffica di superdazi, il mondo ha inizialmente reagito con incredulità. I dazi, subito parzialmente sospesi appena sette giorni dopo, hanno mostrato la natura caotica e imprevedibile della nuova strategia economica americana. Ma ciò che più ha colpito i mercati non è stato tanto il contenuto specifico delle misure, quanto la loro imprevedibilità.
In una fase in cui l’economia globale stava lentamente riacquistando slancio, il ritorno al protezionismo e alla diplomazia economica muscolare ha generato una nuova ondata di incertezza sistemica.
L’Osservatorio Ceresio Investors, di Aprile 2025, curato da Luca Paolazzi e Angelo Marotta, ha colto immediatamente la portata di questi eventi, tracciando un parallelismo con il terremoto: uno shock sismico che spezza equilibri e richiede anni per essere riassorbito.
Il fattore cruciale: l’incertezza paralizzante
I dazi possono essere uno strumento di politica economica, ma se usati in modo erratico diventano un fattore destabilizzante. È questo il punto chiave: non sono tanto i dazi a fare danni, ma la loro instabilità e il loro uso negoziale.
L’indice di incertezza delle politiche economiche, rilevato da REF Ricerche, ha raggiunto ad aprile 2025 livelli superiori del 200% rispetto alla media del 2020, segnalando una situazione di totale disorientamento tra operatori, imprese e famiglie.
Nel concreto, ciò significa una cosa molto semplice: tutti rimandano decisioni. Le imprese fermano ordini, posticipano investimenti e si preparano a una contrazione della domanda. Le famiglie rinviano l’acquisto di beni durevoli e rafforzano il risparmio precauzionale. È il meccanismo classico del “paradosso del risparmio”: il tentativo di proteggersi individualmente genera un peggioramento collettivo.
Una fiducia spezzata
Le prime vittime di questo shock sono state le aspettative. L’indice di fiducia dei consumatori americani, monitorato dalla University of Michigan e dal Conference Board, ha subito il crollo più marcato degli ultimi 45 anni, paragonabile solo a quello registrato durante la Guerra del Golfo. In particolare, è aumentata bruscamente la quota di cittadini che si attendono un’impennata della disoccupazione e un aumento dell’inflazione, due prospettive che raramente coesistono e che insieme configurano lo spettro peggiore: la stagflazione.
Mercati miopi e rischio recessione
Il paradosso è che i mercati azionari sembrano ancora ignorare il rischio. Le stime degli utili aziendali sono rimaste sorprendentemente ottimistiche, con un +10% previsto per il 2025 e +14% per il 2026. Ma questo scenario appare ormai incongruente con i fondamentali. La crescita del PIL USA nel primo trimestre è già in territorio negativo (-0,3% secondo la stima della Atlanta Fed) e potrebbe peggiorare.
Inoltre, il P/E dello S&P500 rimane attorno a 20, ma in passato – in situazioni di recessione conclamata – ha toccato anche valori di 10 o meno. Il rischio è che una nuova ondata di vendite si inneschi appena i dati ufficiali confermeranno la contrazione economica. Il tutto aggravato da un elemento inedito: il crollo simultaneo delle azioni e delle obbligazioni, che ha fatto lievitare il costo del capitale e ridotto la ricchezza finanziaria.
Un’economia globale in equilibrio instabile
L’analisi dell’Osservatorio rileva che, prima delle tensioni tariffarie, l’economia globale mostrava segnali contrastanti. Gli ordini industriali erano in ripresa, ma in parte “dopati” dall’anticipo delle consegne per evitare i dazi. I dati PMI mostravano un mondo diviso: USA, India e Cina in ripresa, Giappone e manifatturiero europeo in affanno. Il terziario si rafforzava in molte aree, ma restavano sacche di debolezza.
In sintesi: una ripresa timida e disomogenea, facilmente vulnerabile agli shock esterni. E quello americano è stato uno shock frontale.
I prezzi scendono, ma è una trappola
La contrazione della domanda comincia a riflettersi anche nei prezzi. Le tariffe aeree, le auto usate e i beni legati al tempo libero hanno registrato cali sensibili. Ma non è un bene: significa che i consumatori stanno tagliando le spese per difendersi. La discesa dei prezzi, in questo contesto, non è segnale di efficienza, ma di paura.
In Europa, dove l’energia continua a pesare di più che negli USA, l’inflazione scende più lentamente. L’Italia, in particolare, è penalizzata dalla bassa autonomia energetica e da un sistema fiscale che diluisce le variazioni dei prezzi.
Tariffe e inflazione: un gioco pericoloso
Le tariffe non colpiscono tutti allo stesso modo. Negli USA, aumentano il costo dei beni importati, generando un effetto inflazionistico interno. Ma per raggiungere l’obiettivo di rilanciare la produzione locale serve tempo e competenze – e queste ultime non si improvvisano.
Nel frattempo, l’aumento dei prezzi riduce il potere d’acquisto, erode la domanda e alimenta l’instabilità. Nei Paesi colpiti dai dazi, invece, si crea uno shock deflattivo: crollano gli ordini esteri, aumentano gli stock invenduti, i prezzi calano e l’attività si contrae. In pratica: inflazione per chi impone, deflazione per chi subisce, ma in entrambi i casi, recessione.
Il declino del dollaro come valuta rifugio?
La reazione dei mercati ha sorpreso molti: il dollaro si è indebolito, nonostante i tassi d’interesse USA siano rimasti alti. Perché? La risposta è nella perdita di credibilità geopolitica e istituzionale. Il cosiddetto “effetto John Wayne”, che per decenni ha sostenuto la valuta americana come simbolo di forza e stabilità, oggi è appannato.
Gli investitori globali cominciano a dubitare della capacità degli USA di gestire una crisi in modo coerente e responsabile. E questo mina le basi su cui si regge la supremazia finanziaria del dollaro.
Debiti pubblici: il grande limite all’azione
Il quadro fiscale globale è poco rassicurante. Il debito pubblico americano è salito a livelli italiani, con un deficit che supera il 7% del PIL. Nell’Eurozona, la situazione è meno grave, ma comunque preoccupante. Solo la Germania sembra avere margini reali per intervenire con politiche espansive, e lo sta già facendo in ambito infrastrutturale e militare.
La Cina mantiene una certa capacità di manovra, ma con strumenti diversi, più legati al controllo centralizzato del credito. In generale, la possibilità di reagire con politiche fiscali espansive è molto più limitata che in passato.
Cosa pensano i gestori di fondi
Durante il viaggio annuale negli USA, i manager di Ceresio Investors hanno rilevato un netto cambiamento nel sentiment degli investitori professionali. Inizialmente speranzosi in un approccio moderato da parte dell’Amministrazione Trump, alla fine della settimana erano quasi unanimemente convinti che solo un collasso di mercato potrà fermare la deriva tariffaria.
Molti hanno già ridotto l’esposizione ai mercati azionari e si stanno orientando verso strategie difensive o di copertura. I titoli tech, protagonisti del decennio precedente, cominciano a mostrare segnali di affanno a causa degli alti costi legati agli investimenti in intelligenza artificiale, mentre alcuni gestori puntano su utility e titoli elettrici, spinti dalla domanda di elettricità generata dalla trasformazione industriale e digitale in corso.
Conclusione: un equilibrio instabile da gestire con cura
La sensazione dominante è che il 2025 possa diventare un nuovo anno spartiacque. Il mix di incertezza politica, rigidità delle politiche economiche e instabilità dei mercati può generare una crisi profonda e duratura. Il rischio stagflazione negli Stati Uniti, unito alla deflazione nel resto del mondo, potrebbe compromettere la ripresa per anni.
Come conclude l’Osservatorio: riavvolgere l’incertezza richiederà tempo, diplomazia e leadership. E il tempo, in economia, è una risorsa che non si può sprecare.