Nel nostro Paese la consapevolezza sul tema è ancora troppo poca: una ricerca condotta da Toluna per Culligan rivela che solo il 36% degli italiani è a conoscenza che i PFAS possono trovarsi anche nell’acqua in bottiglia
La questione PFAS, i cosiddetti inquinanti emergenti, non è più un problema strettamente locale: la contaminazione, infatti, si estende ormai su tutto il territorio nazionale e coinvolge anche l’Europa.
Queste sostanze chimiche artificiali, conosciute come perfluoroalchiliche, sono largamente impiegate nell’industria e presenti ovunque: dalle pentole antiaderenti agli indumenti impermeabili, fino agli imballaggi alimentari e ai pesticidi, con un rischio sempre maggiore di infiltrarsi nell’acqua che consumiamo quotidianamente.
In Italia, i PFAS si accumulano in particolare nei bacini idrografici prossimi agli impianti fluorochimici, ovvero legati all’uso e alla produzione di queste sostanze; resistenti al calore (settore chimico e automobilistico), rivestimenti (tessile e vernici) e schiume antincendio (sicurezza e protezione) rappresentano una crescente minaccia per la contaminazione delle riserve idriche.
In alcune aree specifiche, come il Veneto, si riscontra una maggiore concentrazione di elementi chimici nelle falde acquifere, aggravata dall’intensificarsi delle attività industriali, inclusi i PFAS. Tuttavia, la consapevolezza del loro impatto su salute e ambiente è ancora scarsa; secondo una ricerca Toluna per Culligan, leader internazionale nel trattamento delle acque, solo il 36% degli italiani è a conoscenza che i PFAS possono trovarsi anche nell’acqua in bottiglia.
Se inizialmente erano solo le sostanze perfluoroalchiliche a destare preoccupazione per la contaminazione delle acque sotterranee, oggi anche la diffusione del TFA o acido trifluoroacetico (rilevato in 23 fiumi di 10 paesi europei) rappresenta un’ulteriore minaccia per la salute. Questa sostanza, un derivato dell’acido acetico, si forma dalla degradazione dei PFAS e, come loro, ha un legame carbonio-fluoro che la rende estremamente stabile, al punto da essere considerata un inquinante ‘perenne’.
“L’acido trifluoroacetico (TFA), derivato da PFAS presenti nei pesticidi e nei gas fluorurati, è sempre più frequentemente riscontrato nelle acque. Nonostante la sua pericolosità sia ancora poco indagata, le prime evidenze suggeriscono effetti negativi cronici simili a quelli dei PFAS, in particolare sul sistema riproduttivo in caso di esposizione prolungata”, afferma Antonio Ambrosi, Director, Global Product Management – Filtration di Culligan che continua: “Ad oggi non esiste una normativa che stabilisce limiti di sicurezza per il TFA nelle acque potabili. Entro il 2026, però, l’Europa introdurrà un limite per i PFAS totali, ma ancora non è chiaro se il TFA sarà incluso in questo elenco. È dunque fondamentale che l’UE si muova rapidamente con un’azione normativa al fine di garantire la tutela della salute pubblica”.
La normativa in materia
L’inquinamento causato da queste sostanze chimiche ha reso evidente la necessità di una gestione più scrupolosa delle risorse idriche, dimostrando come la qualità dell’acqua non sia solo una questione ambientale, ma anche una priorità per la salute pubblica, tanto da richiedere interventi legislativi.
Con il nuovo Decreto Legislativo n. 18 del 23 febbraio 2023, che recepisce la Direttiva (UE) 2020/2184 del 16 dicembre 2020, l’Italia si sta adeguando a standard ancora più elevati, pur potendo già vantare un’acqua potabile di alta qualità e un sistema acquedottistico avanzato. Il D.Lgs 18 introduce importanti novità rispetto alla normativa precedente (Direttiva 98/83/CE, recepita in Italia con il D.Lgs 31/2001), apportando significative riforme che riguardano non solo i gestori degli acquedotti, ma anche gli operatori del settore trattamento acque e i cittadini stessi.
In particolare, sono stati fissati parametri più rigorosi per alcune sostanze ritenute tossiche per l’uomo, inclusi i PFAS, che per la prima volta vengono regolamentati dal Decreto con un limite di 0,5 µg/L per i PFAS totali e un limite di 0,1 µg/L per la somma di PFAS. Inoltre, sono stati stabiliti nuovi requisiti per la valutazione e gestione dei rischi, tra cui l’obbligo di implementare “Piani di Sicurezza dell’Acqua” (Water Safety Plans, WSP), un approccio innovativo che prevede il monitoraggio preventivo e continuo dell’intera filiera idrica, dalla fonte alla distribuzione. Gli Stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, avranno ora tempo fino al 12 gennaio 2026 per conformarsi alle disposizioni della normativa.
I nuovi sistemi per la rimozione dei PFAS
Un passo in avanti significativo che richiede controlli ancora più accurati e la possibile installazione di impianti specializzati per la filtrazione dell’acqua potabile pensati per gli ambiti domestici, per la ristorazione e per gli uffici. Tra le tecnologie più innovative che garantiscono l’uso sicuro dell’acqua del rubinetto e ne migliorano ulteriormente la qualità, l’Osmosi Inversa di Culligan applicata al sistema filtrante AC Slim+ ha dimostrato efficacia nella rimozione di PFAS, metalli pesanti, virus e batteri.