Giornata mondiale della biodiversità: Green New Deal rispecchia quanto l’Europa sta facendo con la ricerca scientifica. Italia prima in Europa sul fronte degli investimenti ma solo quinta in ricerca su biodiversità
Oltre 142mila pubblicazioni scientifiche globali dal 2017 al 2022, di cui quasi 60mila realizzate in Europa, che si pone quindi come leader nella ricerca scientifica in materia di biodiversità. In vista della Giornata mondiale sulla biodiversità, il 22 maggio, Elsevier, editore scientifico tra i più importanti al mondo, con più di 3mila riviste accademiche in ogni ambito, ha pubblicato un’analisi che analizza le pubblicazioni a livello mondiale su un tema che sta diventando sempre più attuale e urgente. Il ruolo di guida raggiunto dall’Europa in tema di ricerca fa il paio con le politiche europee sulla sostenibilità, come la Farm to Fork o il Green Deal, all’interno del quale è inserita una strategia relativa alla biodiversità per il 2030 – un piano completo, ambizioso e a lungo termine per proteggere e ripristinare l’ambiente naturale e gli ecosistemi nell’Unione europea – proposta dalla Commissione a maggio 2020 e approvata dagli Stati membri a ottobre dello stesso anno.
I dati globali. UE leader, spiccano però Africa e America Latina
Che la biodiversità stia diventando un tema sempre più centrale è evidente anche dalla ricerca scientifica: secondo i dati Elsevier, infatti, a livello mondiale si è passati da meno di 15mila pubblicazioni sul tema nel 2012 a quasi 30mila pubblicazioni scientifiche nel 2021, con un’intensificazione negli ultimi anni, a partire dal 2018. “I dati del 2022 sono ancora incompleti – dicono da Elsevier – Tuttavia, è riconoscibile una tendenza alla crescita, perciò crediamo che questo sarà il trend nei prossimi anni”.
Dal 2012 al 2021 il numero di paper annuali è dunque raddoppiato, con un aumento nell’ultimo anno (dal 2020 al 2021) di quasi il 15%. A dominare la ricerca negli ultimi cinque anni è, appunto, l’UE (41%), seguita dagli USA (21%), dalla Cina e dall’America Latina (entrambe al 16%), mentre l’Africa contribuisce complessivamente al 7% della ricerca mondiale sulla biodiversità. Per quanto riguarda gli ambiti, i due terzi della ricerca si sono svolti prevalentemente nell’ambito delle Scienze Agricole (34,6%) e Ambientali (23,9%), ma è pur vero che questi sono campi altamente multidisciplinari, con un accresciuto contributo da parte di altri settori.
La ricerca sulla biodiversità ruota attorno a un vasto numero di argomenti che riflettono la complessità dell’area, multidisciplinare e fino a poco tempo fa trascurata. Nonostante Stati Uniti e Cina producano, in senso assoluto, molte pubblicazioni scientifiche sul tema della biodiversità – e non potrebbe essere altrimenti vista la grandezza dei due Paesi – tali pubblicazioni sono comunque un numero esiguo rispetto al totale delle loro pubblicazioni scientifiche: in percentuale la ricerca dedicata alla biodiversità si attesta infatti solo tra lo 0.5% e lo 0.7%. Troviamo invece che altri Paesi, pur avendo meno risorse economiche, siano 3-4 volte più attivi di Cina o USA, sempre relativamente parlando: per esempio sia America Latina che Sud Africa dedicano il 2% delle loro attività di ricerca al tema della biodiversità.
“Un dato che non deve sorprenderci – dicono da Elsevier – se pensiamo che queste sono regioni che subiscono gli effetti negativi della perdita di biodiversità in modo molto acuto”. Sul podio delle istituzioni governative più prolifiche a livello mondiale troviamo la Chinese Academy of Science, il CNRS (il Centro nazionale della ricerca scientifica francese) e il CSIC (il Consiglio superiore per la ricerca scientifica spagnolo). Interessante notare come, tra i primi 10 posti, 3 siano occupati da istituti francesi. Al nono posto, il National Research Council of Italy (CNR). Nel podio delle università, invece, c’è la University of Chinese Academy of Sciences, seguita dall’università di Montpellier e da quella di San Paolo in Brasile.
Focus Europa. UE ha la leadership nel mondo
È l’Europa la detentrice della leadership globale per quantità di pubblicazioni sulla biodiversità, con una crescita abbastanza costante dal 2012 al 2018 e un’accelerazione significativa a partire dal 2019. Le altre aree, come USA, Cina, America Latina e Africa, mostrano anch’esse un aumento della produzione di ricerca scientifica in materia di biodiversità dal 2012 a oggi, ma in maniera costante, non con l’accelerazione propria dell’Europa. I Paesi più attivi in Europa sono UK, Germania e Francia in testa, seguiti da Spagna e Italia. Quest’ultimo ha accelerato moltissimo nel 2019, anche se poi ha subito un rallentamento relativo nel 2020.
Focus Italia. Prima negli investimenti in UE ma quinta nella ricerca
Secondo il report Legambiente 2022, l’Italia è prima in Europa sul fronte degli investimenti per la salvaguardia della biodiversità, con oltre 1,7 miliardi di euro che hanno finanziato più di 970 progetti per la protezione della natura. Eppure, la ricerca scientifica in materia nel nostro Paese mostra l’Italia in quinta posizione in Europa, dietro UK, Germania, Francia e Spagna. C’è stata però una crescita di anno in anno in Italia più alta della media, che si rispecchia anche nel numero di sovvenzioni che sono state elargite in questo tipo di ricerca: se nel 2015 erano circa 15, nel 2022 sono salite a oltre 50.
“Un’attenzione che crediamo – dicono da Elsevier – andrà a crescere, complice anche la pandemia: fenomeni come il Covid ci hanno spinto a riflettere sul tema della biodiversità, anche in relazione alle pandemie e al fatto che le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente, conducono al rischio di pandemia”. E continuano da Elsevier: “Si tratta di capire quale sia il miglior modo (per tutti) per convivere con le altre specie, cercando di proteggere il più possibile gli ecosistemi e chi li abita”.
Se andiamo ad analizzare gli ultimi anni, dal 2017 al 2022, vediamo che l’Italia ha realizzato 840mila paper in totale e quasi l’1% di questi – 7.492 paper, cioè lo 0,86% per la precisione – ha riguardato il tema della biodiversità (la media globale si attesta allo 0,66%). Anche i livelli di citazioni su questo tema sono particolarmente elevati, con un indicatore dell’impatto medio delle citazioni (che confronta il numero effettivo di citazioni ricevute da un articolo con il numero previsto di citazioni per articoli dello stesso tipo di documento) di 1,73, anche qui sopra la media nazionale di 1,43, il che significa che la ricerca sulla biodiversità è citata più che la ricerca su altri topic. Anche per quanto riguarda le collaborazioni internazionali, il nostro Paese è leggermente sopra la media: il 47% della ricerca italiana è in collaborazione con partner internazionali, mentre la media per l’UE è del 42%, ma nel caso della biodiversità essa è ancora maggiore, arrivando al 58%.
“Questo denota per l’Italia maggiore propensione alle partnership nel campo della ricerca sulla biodiversità, una tendenza che tra l’altro pone il nostro Paese in linea con il resto del mondo, dove si passa da una media del 21% per le collaborazioni al 37% sul tema qui analizzato”. Tra i Paesi con cui l’Italia collabora di più sul tema della biodiversità ci sono il Regno Unito, gli USA e la Germania, poi Francia e Spagna, ma i livelli di citazione più alti si registrano nelle collaborazioni con Australia, Svezia e Canada. Tra le università italiane più prolifiche nella ricerca sulla biodiversità ci sono La Sapienza, seguita dall’università di Firenze e poi quella di Bologna.
A seguire troviamo l’università di Torino e di Milano. Per quanto riguarda le istituzioni, al primo posto c’è il Consiglio Nazionale delle Ricerche Italiano, principale ente pubblico di ricerca del Paese, seguito dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Ai primi posti tra gli istituti internazionali con cui l’Italia collabora di più troviamo il Wageningen university and research (l’università di Wageningen con annesso un istituto di ricerca nei Paesi Bassi, specializzata in studi agrari), e poi due università francesi, la PSL e la Sorbona, mentre per quanto riguarda le collaborazioni tra l’Italia e le aziende troviamo ben 5 italiane tra le prime 12, tra cui l’EURAC (al primo posto), GenProbio srl, lo spin Off Accademico dell’Università degli Studi di Parma, seguito da Eni e poi dal CEINGE-Biotecnologie avanzate Franco Salvatore (che opera nel campo della biologia molecolare e delle biotecnologie avanzate applicate alla Salute dell’Uomo) ed Ecologia Applicata Italia srl (il centro di ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico riconosciuto dalla regione Lombardia).
Sul podio, dopo l’Eurac, l’AZTI spagnolo (il centro scientifico e tecnologico che sviluppa progetti di trasformazione ad alto impatto) e il German Collection of Microorganisms and Cell cultures. Per quanto riguarda, invece, la questione delle sovvenzioni per questo tipo di ricerca, gli enti con il maggior numero di borse assegnate dal 2010 a oggi sono il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il CNRS e poi l’Università di Bologna, quella degli Studi di Milano, la Federico II, l’Università di Trento e La Sapienza. Mentre l’ente che in assoluto ha assegnato più sovvenzioni per la ricerca in biodiversità è la Commissione Europea: oltre 250 dal 2010 a oggi.