L’articolo descrive uno scorcio della città di Milano e mette in risalto le contraddizioni della società occidentale , sviscerate dalle peculiarità della fotografia.
Il Naviglio di Ripa di Porta Ticinese a Natale: un aperçu de Ville-Lumière
Volta celeste, empireo, firmamento, volgarmente ridefinito “cielo”: figura archetipica che veglia, sin dai primordi dello scibile umano, sulle coscienze terrene, sapientemente condotte dalle rudi abitudini delle ere più arcaiche all’ “âge des lumières” di Voltaire e Beccaria. Si staglia su quel mondo immaginario, poetico ed evocativo tanto caro al Patriarca di Ferney, in piena antitesi con l’odierna società occidentale altrettanto cara al sopracitato giurista milanese.
La visione qui concessa, intrisa di classicismo, lumi, veri e razionali, rievoca la Belle Époque della celebrata Ville-Lumière parigina che, senza il talento visionario di Alessandro Volta, in un qual certo senso discendente di Prometeo, avrebbe mostrato senza un briciolo d’orgoglio le ferite del conflitto franco-prussiano appena concluso. Ed invece si palesava così, raggiante e spavalda, dinanzi agli occhi esterrefatti di abitanti e visitatori, l’odierna Lutetia Parisiorum, dominata un tempo dall’Impero Romano, dominatrice oggi dei più svariati immaginari.
Un accostamento antinomico, che esalta l’ossimoro tra la frenetica, convulsa, a tratti incontenibile realtà meneghina e i suoi anfratti più poetici ed idilliaci. Il crepuscolo, ormai giunto da ore, ammira coscienzioso le abitazioni in riva al Naviglio che, rigorosamente in fila come una tribù di pellerossa, osservano il bagliore tenue delle luci dicembrine riflettersi nella Darsena e fluire come le coscienze dublinesi, spiritualmente inferme, redente da James Joyce nella sua opera omonima. Del resto, il panorama non si discosta molto dalle fattezze del fiume O’Connell, sulle cui rive domina l’omonimo ponte affettuosamente noto al drammaturgo irlandese. Quel flusso sfavillante si fa strada tra i riflessi dell’acqua, permeato dalla luce che un tempo il titano Prometeo, fedele alleato dell’umanità, rubò agli dei per donare agli uomini. Un estremo sacrificio che costò al Dio ribelle l’esilio alle colonne d’Eracle prima e il confinamento nel Tartaro poi.
Si rinnova così in questo luogo così ambivalente la contrapposizione da cui non può propri esimersi questo scorcio ambrosiano: la società del benessere, della ricchezza e dell’ostentazione che si inalvea nell’andirivieni delle sfumature, dei bagliori lucenti, ma che al tempo stesso custodisce gelosamente uno scenario poco convenzionale, ameno ed intimo; quel contesto che vede nascere la loisir, la realizzazione del sé individuale nel tempo libero, le passeggiate per i boulevard ormai traboccanti di grandi magazzini, dove poter dare sfogo al voyeurismo più spassionato, ma che celebra anche l’avvento della cultura di massa e della sua industria, del talento artistico assoggettato alle logiche produttive, della pubblicità e , senza troppe perifrasi, del volto moderno del libero mercato.
Nient’altro che contraddizioni presenti, vive, inossidabili, fino al limite del parossismo. Crepuscolo e luce accecante, convenzioni ed anticonformismo, capitalismo e non. Se questo fosse un dibattito, i due contendenti sarebbero Gozzano e D’Annunzio seduti in un bar nei pressi dell’Arco Romano di Fiume ma, non ce ne vogliano i detrattori, questa è solo un frammento di storia sviscerato da una fotografia.