Scilla, piccola località calabrese, abbraccia i suoi visitatori con pastelli decisi, senza allentare la presa. In lei salsedine, tradizioni, sensazioni, attimi. E deliziosi pesci spada.
Di Scilla, odissee felici, pesci spada e miracoli color pastello
Prima di essere la storia di 1.916.612 abitanti, questa è una storia d’amore, un passo a due.
Perché io mi sono innamorata di un calabrese, e poi, come in ogni meccanismo a incastro che si rispetti, di tutta una Terra. 1460 giorni dopo, mi ritrovo a digitare di te, anche se potrebbe forse renderti più giustizia una penna con il suo calamaio di fiducia. Vorrei parole danzanti, come noi.
Ogni amore ha una sua anatomia e struttura, può partire dalla testa, dalle mani, dagli occhi. Io ho sentito tutto nella pancia, non propriamente farfalle, non mi sono neanche accorta che insetto fosse, ma si agitava molto, dentro. 1460 giorni dopo, che poi altro non sono che 4 anni, 4 estati, provo a dedicarti qualcosa, cara la mia Calabria, perché mi hai stregato, stretto in un abbraccio deciso.
U Scigghiju, il corpo
Una delle tue figlie, Scilla, è riuscita a incidere parole di conforto e sicurezza nell’agosto più recente, momento centrale di un’estate per tutti confusa, anomala.
Scilla, U Scigghiju – tanto piccola da sembrare enorme – è una località estroversa, così vicina allo stretto di Messina da salutare la sua amica Sicilia agitando la mano. C’è confidenza ormai tra loro, tant’è che dal promontorio scillese si intravedono le Isole Lipari, Stromboli, il Faro di Messina.
Scilla, in te suggestione, leggenda, mitologia, poesia, e qualunque altra cosa sorprendente e salvifica. Ti si può raggiungere via mare o via terra, in 20 minuti da Reggio Calabria centro, per un abbraccio color pastello, deliziosi panini al pesce spada marinato o grigliato – di livello quelli del Lido Acquarium e Civico 5, rigorosamente impreziositi da olive, capperi, pomodori o cipolla tropeana e farciti dall’inimitabile salmoriglio, una salsina fatta con origano, sale, olio, limone e vino bianco –, parentesi di orizzonti dai colori irreplicabili, attimi di pescatori concentrati.
Chjanalèa, la branchia
Gli stessi che nell’antico borgo marinaro di Chianalea, o Chjanalèa – incoronato nel 2019 da CNN Travel come uno dei 20 borghi più belli d’Italia – praticano ancora la sapiente arte della pesca tradizionale: i mari dello Stretto di Messina sono infatti ancora abitati dal pregiato pesce spada, che a Scilla non viene solo pescato, bensì cacciato, attraverso una vera e propria sfida uomo-animale.
Persistono ancora suggestivi riti intorno alla pesca dello Spada, come quello de la carcada da cruci, durante la quale si incide con l’unghia una croce multipla sulla guancia del pesce in segno di prosperità e devozione per la specie. I pescatori, che tramandano questa attività di generazione in generazione, utilizzano ancora i luntri d’epoca, vere e proprie imbarcazioni rintracciabili in tutta la zona.
Ci si ritrova così a passeggiare in un villaggio denso di salsedine, colori e tradizioni antiche – uniche nel loro genere le maschere apotropaiche di terracotta sulle porte, oggi ornamentali ma un tempo dedicate all’allontanamento degli spiriti maligni – dove le case a pelo d’acqua, lo sciabordìo delle onde e le reti appoggiate trasformano l’ambiente in un olio su tela da vivere. Sì, è così, un paesaggio del genere lo si può anche respirare, toccare, non solo guardare.
San Giorgio, l’occhio
San Giorgio, centro storico di Scilla, comprende l’antichissima Bastìa, ricca di vicoli e casette basse con finestrelle circolari, e si erge intorno alla piazza centrale di San Rocco, patrono del posto. Il quartiere, affacciandosi direttamente sullo Stretto, volge lo sguardo anche verso il Castello Ruffo, genius loci della città e fortificazione che ospita il Faro di Scilla, da tempo in mano alla Marina Militare, che conserva ancora oggi la sua configurazione di fortezza classica dotata di cortine, torrioni e feritoie. Indispensabile curiosare tra gli angoli del cortile del Castello, affacciarsi dall’iconico arco in pietra verso la spiaggia e le Eolie, tornare fanciulli con un telescopio, osservando i bagnanti e le imbarcazioni dall’alto sentendosi grandi, immensi.
Marina Grande, la pinna
A completare l’anatomia scillese, Marina Grande, la zona di spiaggia dedicata al sole e al riposo. Niente è come galleggiare in quell’acqua cristallina ad occhi chiusi, per poi riaprirli e dopo essersi stropicciati il viso salato, ritrovarsi davanti una tavolozza di colori come quella dell’agglomerato abitativo di Scilla. Per certi dardi il cuore forse non è pronto, ma delle volte bisogna anche abituarsi alla bellezza smisurata. Perché anch’essa capita.
E così, come le cose più speciali, sei capitata tu, Scilla, in mezzo al mio tempo preferito, sei spuntata inaspettatamente. Tu e tua madre Calabria mi avete dato tanto: un uomo da amare smisuratamente, un dialetto particolarmente complesso, merendelle a colazione, carezze di salsedine, feste al sapore di ‘nduja, melodie romantiche che fatico a dimenticare.
Mi risuona ancora dentro come la prima volta, quella strofa invincibile tratta da ‘A Muttetta dei Parafonè, dedicatami all’esordio.
“tutti mi dinnu ca lu mari è fundu, ma pe l’amuri tua lu passu e vegnu”