La piccola città di Craco non è più abitata da anni, eppure le persone continuano a calpestare quelle strade, seppur di passaggio. La città nasconde qualcosa tra le sue case semidistrutte e apre ancora delle finestre su suoi panorami dal sapore western.
Craco, città in attesa
Ai più, il nome di Craco potrebbe risultare nuovo e mai udito. Forse perché in pochi conoscono questa piccola città arroccata su una collina, situata a 50 km di distanza dalla più fortunata città di Matera, in Basilicata; forse perché a Craco ci si passa solo se la si conosce o se qualcuno ce ne ha parlato, altrimenti lei resta lì, in attesa. Potrebbe sembrare l’ennesimo borgo d’Italia ma Craco è qualcosa di diverso. Per prima cosa, è una città disabitata. Poi, è una città le cui case, per la maggior parte, sono inagibili. Questi due fattori sono indissolubilmente collegati e interdipendenti. Nel 1963 una frana costrinse gli abitanti ad evacuare la zona più colpita. Poche aree rimasero abitabili ma solamente fino al 1980, quando il terremoto dell’Irpinia sancì l’abbandono definitivo. Gli abitanti si riversarono nella vicina Craco Peschiera che prese il nome dal torrente che scorreva lì vicino: da lì gli abitanti possono intravedere da lontano e a malincuore ciò che resta della loro città.
Lo scorso settembre i miei genitori hanno portato me e la mia macchina fotografica Mamiya a visitare la città. Craco ormai non frana più da molti anni, è stabile e alcuni giovani del luogo si sono uniti per donare nuovamente vita a quelle strade che hanno solo guardato da lontano senza aver avuto la possibilità di trascorrerci l’infanzia. É stato individuato un percorso, che è stato messo in sicurezza, percorribile durante le visite guidate. Inoltre, a ciascun partecipante alla visita viene fornito un caschetto di protezione in via precauzionale. In piccoli gruppi si inizia il percorso tra quelle vie silenziose.
Sulla sinistra si presentano le prime abitazioni, le ultime ad essere state abbandonate. Si procede in fila indiana tra recinzioni e grate che sostengono gli edifici. Le porte, in parte murate, son diventate finestre per motivi di sicurezza e lasciano immaginare la vita precedente che si svolgeva tra quelle mura: ci sono cucine, piastrelle ancora attaccate che hanno perso il colore candido, forni abbandonati, bottiglie e detriti, tanti detriti. Alzando la testa si notano i balconi: i più tenaci non vogliono mollare, non vogliono cedere, e rimangono lì in alto attaccati alle loro finestre. Altri sono crollati con la frana e presentano un aspetto ferito ma ancora fiero. Terminata questa prima via si nota sulla destra ciò che resta della caserma dei carabinieri. Quando il comune dichiarò il borgo interdetto a tutti gli abitanti due cittadini ignorarono i cartelli, trasferendosi lì. Si trattava di Pietro Tuzzi e di suo padre. L’anziano non voleva lasciare la sua città, voleva vivere i suoi ultimi giorni nella sua amata Craco. Il vecchio morì lì e il figlio, esaudito l’ultimo desiderio del padre, partì.
Oltre la caserma, ci attende una salita. Qui sono evidenti i danni della frana, lo scivolamento verso il basso di alcune strutture e il paese ancora maestoso. Ci sono alcune scale da percorrere: qui fanno da padroni i cespugli, gli alberi e le spighe di grano, i quali si sono riappropriati di quel regno che era stato sottratto loro anni prima. Sembra essersi creato un equilibrio tra i due elementi, tra la pietra e la vegetazione. I turisti sono silenziosi e si lasciano rapire da questo spettacolo, curiosando dalle finestre aperte ai lati delle scale. In cima vi sono due strade: una a sinistra e l’altra a destra. Procedendo verso sinistra si arriva alla piazza principale del paese dove si trova la chiesa madre di San Nicola, il patrono. L’ingresso non è consentito ai visitatori ma la vista è incorniciata dalle due ante del portone lasciate semi aperte grazie ad una pesante catena. Si ha la sensazione di spiare l’interno; da quello spiraglio si può vedere l’altare, la parete non più bianca coperta da muschio e una sedia lasciata lì, al centro della stanza, immobile.
Tornando indietro al bivio e procedendo verso destra, si costeggia un’alta torre di avvistamento quadrangolare, di origine normanna. Solamente i falchi pellegrini possono vedere la cima della torre, chiamata per anni il Castello. Infine, si sale verso due appartamenti, i più alti del paese e dalle finestre è possibile guardare il suggestivo panorama dei calanchi. Il terreno argilloso presenta dei solchi di colore giallo. Una scena simile o fa sentire smarrito chi la guarda o lo trasporta sul set di un film western.
Poco prima di terminare la visita mi sono accorta di aver perso il copri obiettivo della mia macchina. Un turista, sentendomi lamentare, mi dice “Guarda bene che quando scendiamo lo ritrovi. Io sono nato qui e oggi ci sono tornato per la prima volta dopo la frana. Posso garantirti che a Craco gli oggetti non si perdono mai.” Aveva ragione, sul bordo di una strada, al ritorno, ho ritrovato il mio copri obiettivo e ho capito che a Craco gli oggetti (e le persone) non si perdono, perché il tempo si ferma ogni volta, si ferma mentre passeggi tra quelle strade, così come si è fermato cinquantasette anni fa.
Leggenda narra che di notte dalle rovine provengano degli strani rumori come ferro che stride o voci che sussurrano ma non mi piace credere a questa storia. Craco è definita una città fantasma ma, secondo me, è una città di storie: le storie di chi ci ha abitato, le storie di chi è andato lontano, le storie di chi si è spostato di poco perché non voleva andare troppo lontano e le storie di chi è lì solo di passaggio. Craco è una giornata diversa che porta ad inventarsene una, di storia. Porta a immaginare la vita prima, porta la fantasia a ricostruire ogni muro, a rimettere sui tetti tutte le tegole, a ricolorare le mura con gli intonaci, a sentire le risate delle persone durante la festa del grano, a sentire i bambini che si rincorrono su fino alla piazza principale con le madri che urlano dicendo di stare attenti. Porta ad immaginare e indovinare anche i colori accesi che con le mie foto qui non riesco a mostrare: l’unico modo per scoprire quei colori e vederli, è trovare del tempo per fare un salto a Craco, in quella città che nonostante tutto resta, fiera, sulla sua collina, in attesa.